Rosy Bindi, già ministra della Sanità, Nicoletta Dentico della Society for International Development e Silvio Garattini, presidente dell’Istituto Mario Negri, scrivono al premier Draghi chiedendo un impegno per favorire l’accesso dei Paesi poveri ai vaccini, derogando ai diritti di proprietà intellettuale.
(pubblicato su Avvenire)
Gentile presidente Mario Draghi,
esattamente un anno fa, a Codogno, la dottoressa Anna Malara decideva di assumersi la responsabilità di forzare i protocolli della prassi medica facendo il test diagnostico a Mattia Maestri, intercettando così per la prima volta la presenza del virus SARS-CoV-2 in Italia. Di lì a poche settimane, la Lombardia sarebbe divenuta una delle aree clinicamente più colpite nella storia della pandemia, e il nostro paese l’epicentro del virus a livello mondiale.
In tempi di pandemia occorre sempre sforzarsi di prevedere cosa possa succedere in futuro in rapporto con il peggior scenario possibile. Solo in questo modo è realistico avere un minimo di preparazione per affrontare i problemi. In Europa stiamo sperimentando i ritardi che non ci permettono di effettuare con tempestività l’utilizzo dei vaccini per realizzare l’immunità di popolazione perché non abbiamo produzioni autonome e dipendiamo da sorgenti estere che hanno interessi nazionalistici ed economici che non possiamo controllare. Una condizione che molte popolazioni del sud del mondo conoscono fin troppo bene, la difficoltà di accedere ai dispositivi medici che pure esistono, e che salvano la vita. Ci troviamo evidentemente di fronte ad una congiuntura mai sperimentata prima. Al netto dei numerosi errori commessi nella conduzione delle trattative con le case farmaceutiche da parte della Commissione Europea, e riconosciuti anche dalla presidente Von der Leyen, sfornare vaccini in quantità che sono dell’ordine di centinaia di milioni di dosi in poche settimane o mesi, possibilmente a un ritmo tale da precedere eventuali ulteriori mutazioni del virus, è tutt’altro che scontato. Sia da un punto di vista tecnico, inerente al ciclo di realizzazione dei vaccini. Sia perché la produzione è concentrata nelle mani di pochissime case farmaceutiche. Si impone all’Europa, riunita nel Consiglio europeo di questi giorni, una seria riflessione sulla visione nel campo della salute e delle politiche farmaceutiche, non solo per far fronte all’attuale pandemia ma anche alle eventuali future crisi sanitarie – basti pensare alla resistenza dei batteri agli antibiotici, una pandemia silente con una mortalità annuale di circa 30 mila in Europa, un terzo delle quali solo in Italia.
Ma torniamo a SARS-CoV-2. Lo scenario che si prospetta è incerto ma si può prevedere che il virus continui a circolare nei Paesi ad alto reddito per almeno tutto il 2021, e per alcuni anni continui ad essere presente nei Paesi a basso reddito che non hanno a disposizione il vaccino. Una disuguaglianza inquietante sotto il profilo epidemiologico, che il nord del mondo pare non aver ancora compreso. Inoltre, lo sviluppo di mutazioni del virus che comportano la circolazione di “varianti” più contagiose, una sorta di pandemia nella pandemia, può determinare una ridotta o completa insensibilità ad alcuni degli attuali e futuri vaccini. Queste prospettive richiedono una nuova e urgente attenzione da parte dell’Europa alla necessità di essere parte attiva nella produzione di vaccini anti SARS-CoV-2. Usando appieno tutti gli spazi normativi esistenti, occorre uscire da questa situazione di false sicurezze e porre in atto un programma per realizzare nuovi stabilimenti e ampliare quelli esistenti, in Italia e negli altri paesi europei, sotto l’egida di una gestione strategica pubblica. Nel contempo occorre acquisire tutte le conoscenze scientifiche che servono per riuscire a organizzare e diffondere quanto più possibile una risposta adeguata alla pandemia. Si può fare, e non c’è tempo da perdere. Nella discussione nel Consiglio europeo è possibile fare un passo avanti nella nuova consapevolezza di sé che l’Europa ha sviluppato con la pandemia. Non si scherza con questo virus, pedagogo irriducibile ma razionale.
In una lettera aperta pubblicata di recente sulla rivista medica The Lancet un gruppo di esperti in salute pubblica afferma che “la pandemia di COVID-19 non avrà fine finché non ci sarà un programma rapido di vaccinazione su scala globale per proteggere dalle forme gravi della malattia e preferibilmente puntare alla immunità di gregge”. L’Europa a questo punto deve spiegare a quale sottile forma di darwinismo politico e sanitario si ispira l’opposizione alla richiesta di India e Sudafrica – in discussione da ottobre all’Organizzazione mondiale del commercio (Omc) – di derogare ai diritti di proprietà intellettuale (IP Waiver) durante la gestione della pandemia. La proposta gode di un crescente consenso, man mano che si avvicina il termine per la decisione finale al Consiglio generale dell’Omc, il 1 e 2 marzo. Oltre cento stati membri si sono pronunciati a favore – ultimo, in ordine di tempo, i paesi del gruppo africano – e così hanno fatto alcune agenzie dell’Onu (Oms e Unaids), i rapporteur speciali delle Nazioni Unite, ed economisti del calibro di Joseph Stiglitz e Mariana Mazzuccato. Il 5 febbraio un gruppo di parlamentari europei è uscito allo scoperto per sostenere questa strategia, perfettamente legale ai sensi della Convenzione di Marrakesh. Sulla scia di un appello lanciato a novembre 2020 con la firma di oltre 400 organizzazioni della società civile internazionale, il 16 febbraio il sud globale si è rivolto all’occidente, perché i paesi ricchi permettano di estendere e facilitare l’accesso alla conoscenza scientifica disponibile, largamente finanziata dal settore pubblico, in particolare nel caso di COVID-19.
La sospensione dei diritti di proprietà intellettuale non riguarda evidentemente solo i vaccini, ma permetterebbe di diffondere l’accesso alla ricerca scientifica anche per la riproduzione e ideazione di dispositivi medicali indispensabili contro COVID, e per la ricerca nel campo delle terapie necessarie alla gestione dei pazienti, come abbiamo visto nelle corsie ospedaliere di tutto il mondo. A chi sostiene che la proprietà intellettuale non sia un problema, ricordiamo che le piattaforme tecnologiche per lo sviluppo dei vaccini contro COVID-19 sono state usate in precedenza per altri vaccini e sono blindate dai brevetti – più di 100 solo per la tecnologia mRNA. Almeno due brevetti coprono il vettore adenovirale recombinante e il metodo di composizione del vaccino Oxford/AstraZeneca, che è stato richiesto in almeno 13 giurisdizioni, con scadenza nel maggio 2037, o nel migliore dei casi nel 2031. Nel campo dei diagnostici, il Sudafrica ha avuto seri problemi per procurarsi i reagenti chimici (test cartridge) dei dispositivi GeneXpert per le resistenze della azienda Cepheid, proprietaria delle macchine e dei reagenti. All’inizio della pandemia la svizzera Roche si rifiutò di accogliere la richiesta dell’Olanda di pubblicare le istruzioni per la preparazione dei reagenti chimici necessari alla produzione dei kit diagnostici, e dovette cedere solo dopo l’intervento della Commissione Europea. A Brescia, i giovani ri-produttori con la stampante in 3D della valvola necessaria a un ventilatore che ha salvato la vita a 10 pazienti hanno ricevuto minacce di denuncia per violazione di brevetto dalla azienda Techdirt, proprietaria del ventilatore che costa sul mercato 11.000 dollari. Sono esempi che ci fanno capire una cosa importante: la deroga ai brevetti serve alle piccole e medie aziende del nord del mondo, non solo alle imprese localizzate nei paesi del sud globale. Per una ripresa a tutto tondo.
Il nuovo coronavirus ha segnato il corso della storia europea, che ha scelto anch’essa di forzare le regole di cui si era dotata per interromperne la applicazione, riconosciuta come inefficace nel contesto della pandemia. È avvenuto con la sospensione del Patto di Stabilità. Il Consiglio europeo riunito in questi giorni può fare la differenza con le regole dell’Omc, inefficienti a contrastare una pandemia come non si è mai vista prima nella storia.
Un anno fa, la dottoressa Malara ebbe a dire che “l’obbedienza alle regole mediche è tra le cause che hanno permesso a questo virus di girare indisturbato per settimane”. Oggi, abbiamo come europei la possibilità di bloccare il “virus dell’individualismo radicale” di cui parla Papa Francesco e impedire che la legge del mercato e dei brevetti abbia la precedenza sulla salute dell’umanità. Quanto a Lei, Presidente, nel suo primo discorso al Senato ha ricordato che l’espressione più alta della politica è quella di saper tradurre i tempi difficili “in scelte coraggiose, in visioni che fino a un attimo prima sembravano impossibili”. Faccia valere questa responsabilità in Europa, con l’autorevolezza che ha saputo dimostrare in altre difficili congiunture internazionali. Whatever it takes. Per la vita delle persone, non solo della moneta.
Rosy Bindi, già Ministro della Sanità
Nicoletta Dentico, Society for International Development
Silvio Garattini, farmacologo, presidente e fondatore dell’Istituto Mario Negri