In questi anni di lotta al Covid, i bollettini ci hanno bombardato con informazioni riguardanti l’emergenza, dal coprifuoco alla lotta dei medici in prima linea. Basta una frase come quella precedente per mostrare con quale facilità e pervasività si sceglie di usare la guerra come metafora della malattia. Tuttavia, argomenta Vineis in questo articolo pubblicato su Scienza in rete, una metafora assai più utile sarebbe quella a parti inverse. I modelli di prevenzione sanitaria (in particolare primaria e primordiale) potrebbero infatti suggerire un approccio utile ad affrontare, o addirittura prevenire, la guerra.
Come si sente dire spesso, “prevenire è meglio che curare”. E il caso della guerra non fa eccezione; di fatti, la guerra è, dopotutto, una questione di salute planetaria. Di conseguenza, la diplomazia potrebbe imparare molto dalla prevenzione delle malattie. La sistematicità impiegata in ambito sanitario per indagare l’efficacia degli approcci possibili, potrebbe essere infatti applicata anche alla prevenzione dei conflitti. Tuttavia, anche la prevenzione (seppur tempestiva, come nel caso della prevenzione primaria) non sarebbe sufficiente; questa risulterebbe infatti inefficace senza lo sradicamento delle condizioni che portano all’esposizione ai fattori di rischio, le “cause delle cause”. Nel caso della guerra, dovremmo interrogarci, ad esempio, sulla necessità di fermare la proliferazione delle armi.
L’emergenza del Covid-19 ha reso palese l’importanza della prevenzione in ambito sanitario. L’invasione dell’Ucraina potrebbe avere un ruolo analogo in ambito diplomatico. La prevenzione primordiale (la rimozione delle cause alla radice dei fattori di rischio) risulterebbe sicuramente la più efficace, purché attuata in tempo di pace; prima che le decisioni siano dettate dalla drammaticità e dall’urgenza della situazione bellica. La prevenzione – conclude Vineis – dovrebbe partire dall’educazione. Insegnare a contrastare odio, nazionalismo, e pregiudizio è un compito fondamentale che ricade sotto la responsabilità non solo delle singole nazioni, ma dell’intera comunità internazionale.