di Mauro Valiani, già dirigente Dipartimento prevenzione ASL Empoli
La situazione dell’Agenzia regionale di sanità (ARS) della Regione Toscana riferita recentemente sulla stampa non è certo un tratto secondario della condizione del servizio sanitario regionale ed apre molti profili di preoccupazione.Si tratta dell’intenzione di chiudere l’ARS, dopo un periodo di commissariamento, e di un qualche assorbimento dei ricercatori e operatori presso la direzione dell’assessorato regionale alla salute.
L’Agenzia è un ente importante “dotato di personalità giuridica pubblica, di autonomia organizzativa, amministrativa e contabile, che svolge attività di studio e ricerca in materia di epidemiologia e verifica di qualità dei servizi sanitari … supporto e consulenza tecnicoscientifica al Consiglio regionale ed alla Giunta regionale”, attraverso varie attività tra le quali studi preparatori per gli atti di programmazione regionale e produzione di indicatori sullo stato di salute.
L’Ars, insieme all’altra istituzione universitaria (Sant’Anna-Management e Sanità, Pisa, per la valutazione dei servizi sanitari), costituiscono un patrimonio notevolissimo, anche sul panorama nazionale. I dati prodotti (basterebbe solo fare riferimento all’annuale “Welfare e Salute”) sono assai utili, e dovrebbero essere ancor più valorizzati, per la conoscenza delle condizioni sociali e di salute regionale. Per fare un altro esempio: sappiamo che una sezione specifica della banca dati ARS, La salute dei comuni, è stata usata nelle discussioni per la costruzione di programmi delle elezioni amministrative, anche nel tentativo di riaccensione di un ruolo degli amministratori locali nel settore della sanità (che, ahimè, è andato a scemare negli anni …).
Da 25 anni l’agenzia svolge una funzione importante per la politica regionale e negli anni ha visto la presenza di ricercatori e dirigenti autorevoli. Tra i tanti, voglio qui ricordare Eva Buiatti, fondatrice dell’Osservatorio epidemiologico, che ci ha lasciato nel 2009. Una donna che veramente ha messo le basi per la programmazione regionale sanitaria degli scorsi decenni (quando, ahimè, una “programmazione” c’era, non il deserto attuale!) ed ha anche svolto notevoli servizi scientifici a livello nazionale. Eva aveva ben presente il concetto e la strategia di “Salute in tutte le politiche”, cioè l’importanza di tenere in considerazione l’impatto che ogni nostra azione può avere sulla salute, dalla pianificazione di grandi opere, ai piani regolatori delle città, alle scelte in materia di energia e alle produzioni agricole. La Sanità Pubblica deve tener conto dei diversi determinanti di salute e in particolare della priorità dei fattori ambientali, senza però dimenticare l’emergenza sociale. I determinanti di salute dipendono solo per il 10% dai servizi sanitari, mentre per il 90% dipendono da fattori socio economici e ambientali, genetici, comportamentali. E ancor oggi dunque, è fondamentale lo studio di tutti i determinanti nella produzione di salute o di malattia.
Di fronte ad un ruolo di tale peso non è plausibile che la decisione sia mossa esclusivamente da motivi inerenti la crisi delle risorse e la necessità di trasferire operatori Ars per rafforzare la direzione regionale della sanità. Sappiamo che l’indebolimento della struttura regionale si accentua con la sciagurata decisione delle ‘megaAsl’ e con l’affermarsi di rinnovati ‘potentati’ delle aziende sanitarie e ospedaliere. Non ha alcuna logica depauperare un’altra struttura, ‘se’ questa venisse ritenuta veramente importante.
C’è un ‘dettaglio’ che deve essere evidenziato: la legge 40/2005 di organizzazione della sanità regionale prevede per l’Ars una funzione di supporto al Consiglio regionale, oltre che alla Giunta. Questo tratto le conferisce un’autorità scientifica che la pone ‘non esclusivamente’ al servizio della Giunta (meglio sarebbe dire, vista l’involuzione ‘governatoriale’ delle regioni, al servizio del Presidente). Da qui il sospetto che si voglia in qualche modo irregimentare l’attività di produzione dei dati. Questa attività è fondamentale per il governo di ogni comunità e non è astrattamente neutra. Può essere orientata in modo più o meno favorente la partecipazione e la discussione democratica.
Le preoccupazioni aumentano se pensiamo che da anni soffriamo di un’eccessiva centralizzazione del ‘comando’ (accentuata con la gestione Giani) e ben ci ricordiamo le discussioni e gli allarmi, degli ultimi tempi, per il pericolo di attenuazione delle funzioni di “terzietà” di altre strutture importanti come l’Arpat (anch’essa in crisi di risorse …), o all’annichilimento del “rischio clinico” o al blocco di altre, come il comitato di Bioetica. Per non parlare dell’impoverimento dell’epidemiologia a livello territoriale. La “terzietà”, tuttavia, non deve essere intesa come a-politica. Ogni servizio pubblico è “politico”, ma in senso alto, non certo alle dipendenze di un politico, o di un partito. “Dipendenza” deve esserci piuttosto dalla legge fondamentale (la Costituzione!) e dalle principali norme regolatorie (ricordo sommessamente che – ancora – la legge 833/78 non è stata abrogata!). Un governo politico “è concepibile solo se e quando l’eguaglianza nella salute sia il principio-guida del sistema” (Rodolfo Saracci – More applied science for more health with less inequalities, in occasione del ventennale ARS,
2019).
Il fatto, infine, che alcune altre regioni abbiano intrapreso analogo ‘smontaggio’ è un’aggravante, non certo un esimente per la Toscana. Più concentrazione del potere e meno competenze autonome ci fanno capire meno come funziona il sistema. Dunque, è necessario sapere: qual è il sostegno scientifico di questo orientamento circa l’Ars? Cosa dicono in proposito gli organi regionali? Cosa dicono in proposito i principali soggetti politici e sociali?
Per parte nostra non possiamo che concludere con il vecchio, ma sempre valido, slogan: giù le mani dall’Ars!