La strada è stata indicata da Mario Draghi lo scorso agosto quando, intervenendo al Meeting di Rimini, ha detto: “Sono convinto che il prossimo governo, di qualunque colore sarà, riuscirà a superare le difficoltà che sembrano insormontabili. L’Italia ce la farà anche questa volta”. Per farcela, secondo l’allora premier, sarebbe bastato ricordare di essere un “paese fondatore dell’Unione europea, protagonista del G7 e della Nato”.
Tutto un programma
Facendo tesoro di queste indicazioni, il governo Meloni prova a farcela usando un doppio registro. Da un lato, la rassicurante continuità offerta ai partner internazionali e ai mercati attraverso un atlantismo acritico, che ci rende afoni di fronte alla guerra in Ucraina, e un europeismo di facciata, obbligato dai fondi in arrivo con il Pnrr. Dall’altro, il registro autoritario, populista e neoliberista – in aperto contrasto con i valori e principi della Costituzione – dei primi provvedimenti e della legge di bilancio.
Già in occasione delle dichiarazioni programmatiche in Parlamento, la presidente Meloni aveva mostrato un piglio assertivo e minaccioso, molto maschile in verità, a smentire la definizione di se stessa come underdog. Esaltando il merito come chiave del progresso della nazione, ha messo in chiaro che il governo si sarebbe schierato con “chi vuole fare” liberandolo dai vincoli di uno “Stato tiranno”. Delineando una sorta di darwinismo sociale nel quale merita di andare avanti chi è già forte Ha sorvolato sulle fragilità del servizio sanitario nazionale, contestando invece la gestione della pandemia e accarezzando i no-vax. Ha taciuto le criticità della scuola pubblica, ma condizionato il diritto allo studio alle esigenze del mercato. Ha ignorato le profonde disuguaglianze che attraversano il Paese, annunciando una riforma fiscale che smentisce i criteri di equità e progressività alla base del patto sociale.
A completare il quadro, l’ipotesi di riforma costituzionale, che segnerebbe il passaggio dalla “democrazia interloquente” alla “democrazia decidente” di stampo presidenzialista. Una torsione del nostro sistema parlamentare che, nelle intenzioni del governo, sarà coronata con l’autonomia differenziata, colpo di grazia alla coesione e all’unità del Paese.
Politiche dannose
Il profilo illiberale e populista di questa destra trova conferma anche nei primi provvedimenti. Dal cambio di nome di alcuni ministeri, con il sovranismo sparso a piene mani, al decreto anti-rave, che suona come conferma di un approccio punitivo al disagio giovanile, fino alla risposta muscolare nei confronti delle navi delle ong cariche di migranti. Un’inutile difesa dei confini nazionali che non solo fomenta la paura infondata di una immigrazione massiccia e incontrollata, ma ha anche provocato gravi tensioni con la Francia e nuove difficoltà in seno alla Commissione, solo parzialmente ricucite grazie all’intervento del presidente della Repubblica.
Per non tacere sulle parole, vergognose, del ministro dell’Istruzione sulla funzione educativa dell’umiliazione nella scuola. O gli annunci, non meno gravi, del ministro della Giustizia, che intende limitare ulteriormente le intercettazioni, separare le carriere e rivedere l’obbligatorietà dell’azione penale. Ipotesi che inciderebbero sull’autonomia della magistratura e metterebbero in discussione l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge.
Manovra in retomarcia
A dispetto di quanto auspicato da Draghi, la legge di bilancio presentata dal governo mette in dubbio che l’Italia possa farcela. Certamente non l’Italia degli onesti, delle donne in cerca di lavoro, del ceto medio impoverito, delle famiglie più fragili. Le misure presentate, prive di una strategia di lunga durata in grado di rispondere alle sfide dei cambiamenti in atto, appaiono del tutto inadeguate a fronteggiare l’emergenza innescata dal caro energia.
Mentre l’Unione europea certifica il record italiano di evasione dell’Iva, che ogni anno sottrae alle casse dello Stato 26 miliardi di euro, il governo strizza l’occhio agli evasori con condoni e rottamazioni delle cartelle esattoriali e certo non contrasta l’elusione innalzando il tetto del contante. Usa i soldi dei poveri per far finta di aiutare il ceto medio ma in realtà amplia la platea, già nutrita, di chi non riesce a trovare un lavoro e non ha mezzi di sussistenza; colpisce il lavoro povero e mal retribuito, più diffuso nel Mezzogiorno, reintroducendo i voucher; allarga il divario tra dipendenti e autonomi con la flat tax per le partite Iva fino a 85mila euro.
Per la sanità stanzia risorse del tutto insufficienti. E nulla è previsto per arginare la carenza di personale, favorire lo sviluppo della medicina territoriale e il rilancio degli investimenti. Pochi fondi anche per la scuola e i trasporti pubblici. La transizione energetica resta al palo, e mancano indicazioni chiare sull’attuazione del Pnrr. Infine, il progetto per l’autonomia differenziata, predisposto con una velocità che avrebbero meritato ben altri provvedimenti, anche con l’accordo di alcune Regioni guidate dal centrosinistra, si accinge a rendere sempre più disuguale questa nostra Italia, che invece invoca unità e coesione, soprattutto sul fronte della sanità.
La prima donna premier non ha affatto stravolto i pronostici. Al contrario, si è mossa lungo la linea della nuova destra europea e non ha mostrato di voler sostenere l’autonomia e la libertà delle donne. Possiamo sorprenderci? No, perché questo è un governo di destra che fa la destra. Qualcuno ha magari intenzione di provare a fare la sinistra?