di Nerina Dirindin, Il Sole 24 Ore
L’allungamento dei tempi per visite e accertamenti cambia la percezione del servizio pubblico.
Da troppo tempo il Servizio sanitario nazionale, un patrimonio fondamentale per un paese civile, non riceve la giusta attenzione. Da troppo tempo osserviamo, spesso impotenti, una grande indifferenza nei confronti del progressivo indebolimento della sanità pubblica.
Eppure, dal momento della sua istituzione ad oggi il SSN ha contribuito a produrre in Italia il più marcato incremento dell’aspettativa di vita tra i Paesi ad alto reddito (da 73,8 a 83,6 anni).Attualmente invece i dati dimostrano – e le persone sperimentano – la profonda crisi del sistema: arretramento di alcuni indicatori di salute, difficoltà crescente di accesso ai percorsi di diagnosi e cura, scarsa attenzione alla prevenzione, aumento delle diseguaglianze tra regioni e all’interno delle stesse.
Questo accade perché l’evoluzione tecnologica, il progresso scientifico in campo medico, i radicali mutamenti epidemiologici e demografici, le difficoltà della finanza pubblica e i “determinanti commerciali” della salute (come afferma l’Organizzazione Mondiale della Sanità) hanno portato il SSN ad essere fortemente sottofinanziato: nel 2025 alla sanità pubblica sarà destinato il 6,2% del PIL, meno di vent’anni fa.
La sanità pubblica garantisce ancora a tutti una quota di attività (urgenza, ricoveri per acuzie, interventi salvavita), mentre per il resto (visite specialistiche, accertamenti diagnostici, piccola chirurgia, riabilitazione) il SSN arretra, e i cittadini sono costretti a rinviare gli interventi o a ricorrere ai servizi a pagamento. Le lunghe liste di attesa stanno così abituando la popolazione a non considerare più la sanità pubblica il primo riferimento in caso di malattia, e stanno facendo riemergere un timore che da decenni era scomparso: la paura di non avere abbastanza soldi per potersi curare.
I professionisti della salute – il principale fattore produttivo su cui si regge qualunque sistema sanitario – sono sempre meno numerosi e sempre più demotivati, mentre dopo la pandemia avremmo dovuto proteggerli e riconoscerne il valore. Nell’attuale scenario di crisi del sistema, a fronte di cittadini sempre più insoddisfatti, è inevitabile che gli operatori siano sottoposti a una pressione insostenibile che si traduce in una fuga dal pubblico, soprattutto dai luoghi di maggior tensione, come l’area dell’urgenza. Le retribuzioni debbono essere adeguate ai livelli europei (pena la continua “esportazione” di professionisti) e devono essere garantite condizioni di lavoro sostenibili. Particolarmente grave è inoltre la carenza di infermieri (in numero ampiamente inferiore alla media europea).
Le risorse messe complessivamente a disposizione sono sempre meno adeguate rispetto ai bisogni di assistenza della popolazione; i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) – ovvero i diritti che la Costituzione afferma debbono essere garantiti a tutti e su tutto il territorio nazionale – sonomessi a rischio in molte regioni e l’autonomia differenziata attualmente in discussione in Parlamento potrebbe ampliare il divario tra Nord e Sud d’Italia in termini di tutela della salute.
Progredire su questa china, oltre che in contrasto con l’Art.32 della Costituzione, ci spinge verso il modello statunitense, terribilmente più oneroso (spesa complessiva più che tripla rispetto all’Italia) e meno efficace (aspettativa di vita inferiore in media di sei anni). O, in alternativa, ci spinge verso il modello mutualistico che abbiamo abbandonato nel 1978 perché costoso, inefficiente e iniquo.
Per questo è fondamentale che i principi di universalità, equità e solidarietà nell’assistenza sanitaria contenuti nella legge 833 del 1978 ritornino ad essere il primo riferimento di un SSN.
Per questo la salute deve ritornare ad essere una priorità per Governo e Regioni.
Anche perché, la mancanza di salute condiziona pesantemente la nostra vita e la nostra libertà.
Per questo, è necessario sollecitare tutte le forze politiche – al di là degli schieramenti partitici – a farsi carico di questi problemi e tutte le organizzazioni della società a mobilitarsi per rivendicare non solo il diritto alla salute, ma anche la sua concreta realizzazione, a partire da un piano straordinario di finanziamento del SSN e da uno specifico programma di interventi per rimuovere gli squilibri territoriali, come previsto dall’articolo 119 della Costituzione.