La regionalizzazione differenziata romperebbe ogni idea di equa distribuzione delle risorse. In questo articolo pubblicato su saluteinternazionale.info, Marco Geddes spiega come l’autonomia differenziata, se applicata alla sanità, porterebbe a una pericolosa frammentazione del Servizio sanitario nazionale. Il silenzio del Ministro della salute sulla questione è assordante.
Già nel 2018 l’allora presidente del Consiglio, Gentiloni, aveva sottoscritto il pre-accordo con le Regioni che hanno chiesto l’Autonomia (Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna). Altre Regioni hanno successivamente dato mandato di avviare i negoziati per definire forme e condizioni particolari di autonomia. La marcia verso l’Autonomia è ripresa nel 2021 con l’introduzione nella Nota di aggiornamento dal documento di economia e finanza. L’Autonomia differenziata in Sanità sembrava definitivamente accantonata a seguito della pandemia. Eppure, la ministra agli Affari Regionali e Autonomie Mariastella Gelmini ha annunciato che il Disegno di legge quadro per l’Autonomia sarebbe in dirittura d’arrivo. Le valutazioni critiche riguardano molti aspetti. In particolare, il DDL consente la regionalizzazione differenziata di tutte le 23 materie. Dopo la sua approvazione, l’autonomia per le tre Regioni che hanno siglato il pre-accordo sarebbe avviata immediatamente. Inoltre, il Parlamento è di fatto esautorato dovendosi limitare all’approvazione o rigetto dei testi di accordo.
Sebbene non siamo certi che sia esattamente tale il progetto Gelmini, colpisce l’assenza di qualsiasi trasparenza e, salvo rare eccezioni, pubblico dibattito. La grande stampa e i mezzi di informazione non sembrano particolarmente interessati a questo sconvolgimento costituzionale, così come le principali forze politiche. E desta stupore che, di fronte a una normativa che effettua una privatizzazione della sanità e sottrae al Servizio sanitario la connotazione di bene pubblico nazionale, il Ministro responsabile del Dicastero della Salute non esprima la propria valutazione.