di Marco Geddes (Corriere fiorentino del 1/12/2023)
In un recente intervento sul Corriere Fiorentino è stata sviluppata una interessante riflessione sul tema dei tre pilastri che sostengono i sistemi sanitari.
In riferimento alle fonti di finanziamento generalmente i pilastri si articolano in quelli sostenuti: dalla fiscalità generale (quella nazionale con eventuali integrazioni regionali, assai limitate), dalla spesa privata diretta (out of pocket) e dalla spesa intermediata dal sistema assicurativo.
Il primo pilastro, quello fondamentale, come giustamente afferma il professor Petretto, copre i Livelli essenziali di assistenza, cioè quelli che sostanziano il diritto alla salute sancito dalla Costituzione.
Il reale problema che abbiamo di fronte è che, nel corso di oltre un decennio, il “giusto equilibrio” fra i vari potenziali pilastri non si è realizzato, non tanto per una inadeguata definizione o ripartizione dei rispettivi ambiti, ma per il progressivo indebolimento di quello fondamentale.
I Livelli essenziali di assistenza (LEA) definiscono ormai diritti costituzionalmente esigibili di prestazioni diffusamente indisponibili. Indisponibili per tempi di erogazione (liste di attesa), per luogo in cui vengono offerte (assai lontano dalla propria abitazione o addirittura in altre regioni), per qualità della prestazione.
A tale situazione siamo pervenuti con una progressiva riduzione, rispetto al potere di acquisto, del finanziamento del SSN; una decrescita che prosegue nei prossimi anni portando tale finanziamento ad un rapporto con il Pil fra i più bassi d’Europa.
Il taglio degli stanziamenti, che si è sostanziato principalmente tramite il blocco delle assunzioni e la riduzione dei salari, ha avuto un obiettivo specifico: indebolire il capitale umano, che è la risorsa fondamentale per un servizio sanitario.
Ne consegue una cronica carenza di personale, in particolare infermieristico: per eguagliare il rapporto infermieri / popolazione della Francia se ne dovrebbe assumere 219mila; rispetto alla Germania 439mila!
Si è accentuata inoltre la fuga dei professionisti: in un triennio 21.397 medici e 18.000 infermieri sono andati all’estero; fra i neolaureati in medicina si rileva ormai una scarsa attrattiva di settori specialistici fondamentali: l’87% dei posti di specializzazione in Radioterapia, il 76% in Medicina d’urgenza e il 53% in Terapia intensiva sono andati deserti!
In questa situazione i secondi e terzi pilastri non vengono a configurarsi come un – eventuale – giusto equilibrio, volto ad integrare il servizio sanitario con prestazioni aggiuntive, ma a fare concorrenza o a sostituire quanto la Sanità pubblica dovrebbe garantire, venendo così ad amplificare le diseguaglianze economiche e territoriali.