Il Piemonte non può aspettare un giorno in più

Lettera al Presidente Cirio firmata da oltre 350 professionisti

La condizione in cui versa la sanità piemontese ci lascia senza parole. È forte il dolore per le troppe persone morte a causa del virus Sars-Cov2; è acuto il senso di impotenza di fronte a una situazione che appare ormai fuori controllo; è più che mai sentita la gratitudine verso coloro che in prima linea e in condizioni estreme si stanno prendendo cura, in ospedale o sul territorio, delle persone malate, ma contemporaneamente cresce il timore per il prossimo futuro, lo spaesamento di fronte a messaggi delle istituzioni locali in continua contraddizione tra loro.

Siamo ben consci che siamo diventati un’area dove è alto il livello di contagio ed è critica la situazione delle strutture ospedaliere: quanto accaduto nel febbraio scorso in Val Seriana è stato il momento più nero della prima ondata della pandemia. Replicare quei comportamenti sarebbe da irresponsabili.

Vorremmo perciò trovare le parole giuste per poter dar voce a tutti coloro che in questa Regione stanno esaurendo la fiducia nelle istituzioni, in chi avrebbe dovuto decidere per il bene di tutti, scegliere sulla base di conoscenze specifiche, programmare alla luce di dati ed evidenze provenienti da fonti autorevoli. Lo sgomento è tanto più forte poiché l’attenuazione estiva dell’emergenza pandemica ha concesso un po’ di tempo ai vertici decisionali per organizzare una possibile risposta ai bisogni emergenziali: possibile, perché magari oggi ci saremmo resi conto che si sarebbe potuto fare meglio, ma intanto qualcosa era stato avviato.

E invece, al netto della complessità della situazione, nella nostra Regione poco o niente si è programmato in tempi di relativa calma. Sono stati attivati comitati tecnici, gruppi di lavoro, task force, cabine di regia; l’unità di crisi è stata istituita, riformata, commissariata e cambiata nei suoi vertici in pochi mesi, in un vortice di caotici cambiamenti, ma la situazione è rimasta grave.

Non si è provveduto a potenziare in modo stabile, e per periodi di tempo ragionevoli, il personale sanitario necessario sul territorio, ma forse neanche a calcolarne un ipotetico fabbisogno per scenari di gravità crescente; non si è potenziato a sufficienza il personale nei servizi di Igiene e Medicina Preventiva affinché fosse in grado di rispondere a un numero esponenziale di casi e contatti da gestire; non si è provveduto a formare il personale medico con protocolli condivisi per la gestione clinica e logistica delle persone malate di Covid, lasciando a ciascuna realtà locale la facoltà di utilizzare in tempi e modalità differenti farmaci, ricoveri ospedalieri, monitoraggi a domicilio; non si è adottato un piano per il potenziamento dell’assistenza domiciliare per la quale la Regione è destinataria di ingenti risorse statali; non si è riusciti a potenziare in modo adeguato l’offerta di tracciamenti, test diagnostici e neppure di posti letto in terapia intensiva, come invece hanno fatto altre regioni. Perché il Piemonte ha scelto di restare indietro?

Il risultato di tante inadeguatezze è che purtroppo oggi ci sentiamo più in balia di un destino che auspichiamo benevolo, soprattutto verso le persone più fragili, piuttosto che fiduciosi nelle capacità dell’istituzione pubblica di riferimento di saper sostenere un’ondata pandemica più aggressiva di quella già vissuta.

Le immagini, le parole, le storie di tante e tante persone segnano il vissuto di ciascuno di noi persino (purtroppo) di più dei vergognosi rimpalli di responsabilità cui stiamo assistendo. La sofferenza che, in primis, operatori e manager della Sanità piemontese esprimono non può più essere a lungo tollerata: la storia del nostro territorio, ed in particolare della rete di tutela pubblica della salute, ha radici forti e ci dà ancora speranza. C’è un tessuto di valori, energie, capacità, competenze, esperienze che oggi più che mai necessitano di essere ri-conosciute, di essere ri-valorizzate, di tornare ad essere coinvolte nei percorsi decisionali e operativi. Per tale motivo, sentiamo il dovere etico, per il bene di tutti noi, di richiedere che siano garantiti interventi adeguati e ne sia monitorata la loro attuazione su tutto il territorio regionale, con l’obiettivo di evitare che le persone siano lasciate sole, in attesa di una risposta telefonica che troppo spesso non arriva o di un accertamento diagnostico differito per giorni, o siano costrette a ricorrere all’ospedale quando avrebbero potuto essere assistite al loro domicilio.

Il Piemonte non può aspettare un giorno in più.

Carla Barovetti, architetto

Luisa Bellero, medico anestesista

Massimo Beratto, medico di medicina generale

Valentino Castellani, ex Sindaco di Torino

Mario Alberto Clerico, oncologo

Gabriele Gallone, medico del lavoro

Franco Garelli, sociologo

Giorgio Palestro, ex preside di Medicina

Tullia Todros, ginecologa

Seguono altre 350 firme

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