di Stefano Cecconi, Rossana Dettori (da SOSsanita.org)
Contro l’epidemia da Covid-19 stiamo combattendo una dura battaglia. Le drastiche misure adottate in queste settimane, per prevenire la diffusione del contagio e l’ulteriore stress a carico dei servizi e degli operatori sanitari, duramente provati dal sovraffollamento di pazienti con i sintomi più gravi, sono dure da sopportare e ci si augura abbiano presto successo, per salvare vite, evitare sofferenze, e anche per scongiurare una drammatica crisi economica.
Vanno protette in primo luogo le persone che rischiano di essere colpite nel modo più grave: anziane e con co-morbidità (con patologie cardiovascolari e respiratorie, diabete, deficit immunitari, patologie metaboliche, patologie oncologiche, obesità, patologie renali o altre patologie croniche) come ci indicano con chiarezza i dati sulle complicanze da Covid-19 e sulla mortalità pubblicati nei bollettini dell’Istituto Superiore di Sanità. E bisogna che prevalgano le esigenze di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori su quelle della produzione di beni e servizi non essenziali. Mentre bisogna attuare subito le misure già previste di potenziamento del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), orientate in particolare a dotare i servizi ospedalieri di rianimazione, pneumologia e malattie infettive, di personale e di attrezzature adeguate, assicurando i Dispositivi di Protezione Individuali per gli operatori sanitari, che non possono essere lasciati combattere a mani nude. Questa è la battaglia in corso: mira essenzialmente a contrastare l’epidemia e i danni diretti del Covid-19.
Ma siamo sicuri che i danni del Covid-19 siano solo questi? Quello che sta succedendo ci dice che è saggio mantenere alta la guardia per l’epidemia e, contemporaneamente, contro le altre malattie del nostro tempo, che sappiamo avere indici di mortalità enormemente più alti: patologie cardiocircolatorie e tumorali in primis. Sapendo che in genere tutte le malattie croniche, se non prevenute o trattate precocemente, aumentano i rischi di morbosità e di mortalità evitabile. Non è facile lottare su più fronti ma bisogna farlo.
In questi giorni (il 23 marzo) la Società Italiana di Cardiologia (SIC) ha lanciato l’allarme: risultano dimezzati gli accessi per infarto al Pronto Soccorso, chi ha un infarto o altre emergenze è restio a rivolgersi al 118 per paura del contagio in ospedale. Il presidente della SIC Ciro Indolfi ha raccomandato: “non bisogna credere che in questo momento l’infarto sia meno grave del Covid 19 e non bisogna assolutamente abbassare la guardia”. Dello stesso tono le raccomandazioni dall’ Istituto di Fisiologia Clinica del CNR, Pisa: “dobbiamo fare il massimo sforzo per non allentare il sistema di monitoraggio attivo di quelle patologie cardio-nefro-metaboliche che rappresentano la condizione di fragilità favorente aggravamento e decesso. Seppure ci troviamo in fase emergenziale sul COVID-19, è possibile attivare sistemi di controllo, affiancando a quelli ambulatoriali le risorse offerte da telemedicina e teleconsulto ed altre forme di E-Health”.
Analoghe preoccupazioni sono state espresse nei riguardi delle persone più fragili, che rischiano l’abbandono in questa situazione. Associazioni e Sindacato lanciano un allarme e chiedono siano garantiti i servizi domiciliari e territoriali alle persone più vulnerabili (anziane, disabili, con sofferenza mentale, con malattie croniche), in condizioni di povertà (Alleanza contro la Povertà), e ai detenuti, assicurando la sicurezza per operatori e cittadini-utenti e le prestazioni necessarie. Allarme ripreso con grande chiarezza da Nerina Dirindin e poi, per le persone senza fissa dimora, da Lorenzo Camoletto del Gruppo Abele. Mentre Rosy Bindi in una bella intervista su il Manifesto ricorda che “la pressione sugli ospedali in larga parte è legata anche al fatto che non c’è un’organizzazione per l’assistenza domiciliare, … che non può essere la cenerentola del nostro sistema”. E che paghiamo duramente anni di tagli alla sanità pubblica, eroica eppure maltrattata.
Non possiamo aspettare che l’epidemia passi per agire contro i rischi “indiretti” appena descritti, che, a questo punto, non potremo più chiamare “danni collaterali”. Governo e Regioni devono decidere di gestire l’emergenza Covid-19 in modo globale adesso, mantenendo attive quante più strutture e prestazioni possibili del SSN, dalla prevenzione all’assistenza domiciliare, per garantire tutti i diversi Livelli Essenziali di Assistenza, scongiurando il rischio di abbassare la guardia contro malattie e disagi che altrimenti ci presenteranno un conto salato. Naturalmente assicurando condizioni di sicurezza per operatori e cittadini-utenti. Avendo ben chiaro, come la drammatica esperienza in corso ci sta insegnando, che non è più rinviabile un piano per il potenziamento delle reti di assistenza socio-sanitaria territoriale, con requisiti e standard vincolanti come quelli per gli ospedali, investimenti e assunzioni di personale, e con medici di medicina generale più inseriti nel SSN. Dobbiamo contrastare tutti i rischi del Covid-19, diretti e indiretti, per ricostruire la sanità pubblica, e davvero universale, di cui abbiamo bisogno e diritto e, come scrive Mariana Mazzucato, imparare da questa crisi per cambiare un modello di sviluppo economico e sociale che ha fallito.
Stefano Cecconi è responsabile sanità CGIL nazionale, direttore de La Rivista delle Politiche Sociali
Rossana Dettori è segretaria confederale CGIL nazionale