Appropriatezza, accessibilità ed equità nella diagnosi di infezione di Coronavirus

di Cecilia Carmassi

Sono giorni che penso all’utilità di fermare su questo taccuino digitale (il blog) i pensieri e le notizie più interessanti di questa strana stagione della quarantena. Oggi inizio da qui, una piccola vicenda emblematica di quello che siamo e di quello che ci aspetta nelle prossime settimane.

“Se io me lo pago…”

Molti hanno paura, alcuni sono addirittura terrorizzati, ma soprattutto serpeggia il dubbio… sarò positivo? Sarò asintomatico? Lo saranno le persone con cui vivo? Con cui lavoro?

Dopo le prime richieste ideologiche palesemente inattuabili (“facciano i tamponi a tutti e subito”) molti hanno iniziato a capire che i tamponi sono una cosa seria, non solo costosa ma anche che richiede tempo e laboratori specializzati e che quindi è normale e giusto che vengano fatti con delle priorità (i pazienti sintomatici e poi gli operatori più esposti e così via).

Ma la paura resta

E allora arrivano i test sierologici, molto veloci, e si apre un mercato immediatamente disponibile ad effettuarli a richiesta… basta pagare!

E molti pensano: io posso, io pago, non me lo possono impedire che male faccio? Ma non è così.

Innanzitutto questi test non sono poi così attendibili e quindi si rischiano i c.d. falsi negativi (con persone infette che si sentirebbero tranquille nel relazionarsi coi propri cari o con altre persone e rischiando la diffusione del contagio),  ma anche in caso di positività queste stesse strutture private che li offrono (sempre rigorosamente a pagamento, qualcuno promettendo donazioni ad una onlus) non si fanno carico dei costi aggiunti scaricandoli sul servizio sanitario pubblico, che dovrebbe a quel punto effettuare il tampone, immediatamente, magari scoprendo che si trattava di un falso positivo oppure anche accertando una reale positività ma non secondo criteri di equità e priorità democratiche bensì in base ad una priorità determinata dal censo (“io posso, io pago, io supero la fila”!)

Ecco perché ho trovato illuminante il parere della Commissione Regionale di Bioetica che ci fa riflettere su questioni che attengono non solo alla questione dei test ma che dovrebbero orientare la gestione delle risorse  pubbliche e anche di quelle private quando c’è di mezzo la salute dei cittadini in una situazione così difficile come quella che stiamo vivendo.

Usano tre termini APPROPRIATEZZA, ACCESSIBILITÀ ed EQUITÀ… Sono parole scomode, ma sono anche parole democratiche, ispirate ai nostri principi costituzionali e al nostro modello di sanità pubblica e universalistica in cui nessuno si salva da solo

Mai come in questo tempo “grazie” a questo virus è risultato tanto evidente che la salute degli altri è la precondizione per la mia salute e non viceversa. È il modello di sanità che oltre 40 anni fa ha orientato la creazione del nostro sistema sanitario nazionale, forse qualcuno pensava dopo aver celebrato il quarantennale di poter procedere nel processo di riduzione del campo di azione delle politiche pubbliche in tema di salute e di lasciare altri spazi al privato così “disponibile” a farsi avanti e subentrare… Vedrete, alla fine di questa vicenda le cose saranno più chiare e potremo rilanciare insieme la centralità e l’utilità per tutti di un sistema pubblico diffuso, organizzato e competente.

Intanto impariamo a gestire la paura senza farci divorare dall’egoismo e dal bisogno di risposte facili ed immediate e soprattutto, ricordiamoci di cosa abbiamo pensato guardando tanti film che raccontavano catastrofi (ambientali e non) in cui non abbiamo fatto fatica a stigmatizzare il personaggio ricco ed egoista che voleva salvare se stesso prima degli altri e non ne voleva sapere di rispettare l’antico adagio “prima le donne e i bambini” ed evitiamo di dare pubblicamente o di nascosto lo stesso triste spettacolo. L’egoismo è parte dell’animo umano ma noi siamo più forti!


Nota: ringrazio Marco Geddes da Filicaia per aver segnalato pubblicamente la delicatezza e pericolosità della questione e aver fatto circolare il parere del Comitato di cui è componente

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