PNRR e assistenza sanitaria territoriale. È l’ora delle scelte.

di Gavino Maciocco

Dai prossimi atti del Governo in tema di sanità territoriale si capirà se le risorse del PNRR saranno utilizzate per migliorare la salute della popolazione o per ingrossare il portafoglio della sanità privata. Il PNRR per ora non fa una scelta tra due possibili opzioni e rimanda l’identificazione del modello organizzativo all’approvazione di un decreto ministeriale da adottarsi entro il 31 ottobre 2021. Proviamo ad applicare il dilemma pubblico/privato all’Assistenza domiciliare.

Anche se pervenute in misura molto minore da quanto inizialmente previsto e auspicato le risorse che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ha destinato alla sanità territoriale rappresentano una grande occasione di rilancio e rinnovamento per un settore fortemente penalizzato negli ultimi anni. La Missione 6 (M6C1) del PNRR si occupa appunto di Reti di prossimità, strutture intermedie e telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale: “Gli interventi di questa componente intendono rafforzare le prestazioni erogate sul territorio grazie al potenziamento e alla creazione di strutture e presidi territoriali (come le Case della Comunità e gli Ospedali di Comunità), il rafforzamento dell’assistenza domiciliare e una più efficace integrazione con tutti i servizi socio-sanitari”.  

Come si nota nella Tabella 1 a favore del Potenziamento dell’assistenza sanitaria e della rete sanitaria territoriale vengono assegnati 7,00 miliardi di euro, suddivisi in tre diversi investimenti:

  1. Case della Comunità;
  2. Assistenza domiciliare;
  3. Ospedale di Comunità.

Per ciascuno dei 3 “investimenti” riportiamo parte del testo contenuto nel PNRR.

  1. Case della Comunità
    Il progetto di realizzare la Casa della Comunità consente di potenziare e riorganizzare i servizi offerti sul territorio migliorandone la qualità. La Casa della Comunità diventerà la casa delle cure primarie e lo strumento attraverso cui coordinare tutti i servizi offerti, in particolare ai malati cronici. Nella Casa della Comunità sarà presente il punto unico di accesso alle prestazioni sanitarie. La Casa della Comunità sarà una struttura fisica in cui opererà un team multidisciplinare di medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, medici specialistici, infermieri di comunità, altri professionisti della salute e potrà ospitare anche assistenti sociali. È finalizzata a costituire il punto di riferimento continuativo per la popolazione, anche attraverso una infrastruttura informatica, un punto prelievi, la strumentazione polispecialistica, e ha il fine di garantire la presa in carico della comunità di riferimento. L’investimento prevede l’attivazione di 1.288 Case della Comunità entro la metà del 2026, che potranno utilizzare sia strutture già esistenti sia nuove.
  2. Casa come primo luogo di cura. Assistenza domiciliare
    L’investimento mira ad aumentare il volume delle prestazioni rese in assistenza domiciliare fino a prendere in carico, entro la metà del 2026, il 10 percento della popolazione di età superiore ai 65 anni (in linea con le migliori prassi europee). L’intervento si rivolge in particolare ai pazienti di età superiore ai65 anni con una o più patologie croniche e/o non autosufficienti. La presa in carico del paziente si realizza attraverso la definizione di un piano/progetto assistenziale individuale che raccoglie e descrive in ottica multidisciplinare le informazioni relative ai soggetti in condizioni di bisogno per livello di complessità e, sulla base dei bisogni di cura dell’assistito, definisce i livelli di assistenza specifici, nonché i tempi e le modalità di erogazione per favorire la migliore condizione di salute e benessere raggiungibile per la persona malata. L’investimento mira a: a) identificare un modello condiviso per l’erogazione delle cure domiciliari che sfrutti al meglio le possibilità offerte dalle nuove tecnologie (come la telemedicina, la domotica, la digitalizzazione); b) realizzare presso ogni Azienda Sanitaria Locale (ASL) un sistema informativo in grado di rilevare dati clinici in tempo reale; c) attivare 602 Centrali Operative Territoriali (COT), una in ogni distretto, con la funzione di coordinare i servizi domiciliari con gli altri servizi sanitari, assicurando l’interfaccia con gli ospedali e la rete di emergenza-urgenza.
  3. Sviluppo delle cure intermedie
    L’investimento mira ad attivare l’Ospedale di Comunità, ovvero una struttura sanitaria della rete territoriale a ricovero breve e destinata a pazienti che necessitano interventi sanitari a media/bassa intensità clinica e per degenze di breve durata, di norma dotato di 20 posti letto (con un massimo di 40 posti letto) e a gestione prevalentemente infermieristica, tale da contribuire a una maggiore appropriatezza delle cure e determinare una sostanziale riduzione di accessi impropri ad altre prestazioni (come quelli al pronto soccorso o ad altre strutture di ricovero ospedaliero). L’Ospedale di Comunità potrà anche facilitare la transizione dalle cure ospedaliere acute a quelle domiciliari, consentendo alle famiglie e alle strutture di assistenza di avere il tempo necessario per adeguare l’ambiente domestico e renderlo più adatto alle esigenze di cura dei pazienti. L’investimento si concretizzerà nella realizzazione di circa 380 Ospedali di Comunità.

Quale idea di sanità territoriale

Il PNRR, a proposito di sanità territoriale, tocca tre temi cruciali ma nulla dice in quale cornice organizzativa e strategica questi investimenti si collocano.

  • In una cornice pubblica. Con una struttura organizzativa forte, quale ad esempio il Distretto disegnato dalla legge 299/99, dotato di una autonomia gestionale, baricentro e motore per l’assistenza territoriale, e da cui dipendono strutture e professionisti sanitari, compresi i Medici di Medicina Generale, e i professionisti sociali, al fine di promuovere e incentivare il lavoro in equipe multiprofessionali. Una struttura, il Distretto, in grado di tenere insieme i tre suddetti investimenti in una logica di solida integrazione tra sanitario e sociale e all’interno di una programmazione locale basata sui bisogni sanitari e sociali della popolazione.
  • O in una cornice privata. Dove predomina la logica della produzione di prestazioni, chiunque sia il produttore (sottinteso quasi esclusivamente privato). Con i produttori che si muovono in competizione tra loro e con il settore pubblico che si limita a esercitare una funzione di controllo amministrativo e al massimo di coordinamento.

Il PNRR per ora non fa una scelta tra le due possibili opzioni e rimanda “l’identificazione del modello organizzativo condiviso della rete di assistenza territoriale tramite la definizione di standard strutturali, organizzativi e tecnologici omogenei per l’assistenza territoriale e le strutture a essa deputate” all’approvazione di un decreto ministeriale (da adottarsi entro il 31 ottobre 2021).

Proviamo ad applicare il dilemma pubblico/privato al secondo punto del punto C1 della Missione 6, l’Assistenza domiciliare.

  1. La cornice privata è attualmente praticata in Lombardia. Il paziente che ha necessità di un intervento domiciliare infermieristico o riabilitativo è libero di scegliere il produttore tra una molteplicità di agenzie private accreditate (“pattanti”) in competizione tra loro e senza alcuna interazione col settore pubblico, del tutto spogliato di risorse in questo settore. Anche in presenza delle Case della comunità questa attività continuerebbe ad essere svolta secondo le regole del mercato, episodica e frammentata, senza alcuna garanzia di un’efficace presa in carico e di un’effettiva continuità dell’assistenza.
  2. La cornice pubblica prevede che il paziente con bisogni di assistenza domiciliare si rivolga al Distretto di appartenenza che si assume la piena responsabilità della sua presa in carico e la soddisfa con le risorse sanitarie e sociali a disposizione (es: i team multidisciplinari delle Case della comunità). Se necessario il Distretto potrà ricorrere alle prestazioni di un erogatore privato accreditato, che sarà scelto e coordinato dal Distretto e non certo dal singolo paziente.

Per il Ministro della salute questo è il tempo delle scelte, perché i 7 mld del PNRR di per sé non sono la garanzia di un effettivo rafforzamento dei servizi territoriali di cui la sanità italiana ha così urgente bisogno. Per ottenerlo è necessario potenziare – su scala nazionale –  le capacità di programmazione e governo dei Distretti, a partire dall’adeguata dotazione di personale, in assenza della quale ogni discorso cade nel vuoto. È inoltre improcrastinabile una profonda riorganizzazione della medicina di famiglia, che sia funzionale alla realizzazione del modello di team multiprofessionale e multidisciplinare previsto all’interno  della Casa della comunità. Dai prossimi atti del Governo in tema di sanità territoriale si capirà se le risorse del PNRR saranno utilizzate per migliorare la salute della popolazione o per ingrossare il portafoglio della sanità privata.

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