Intervista a Nerina Dirindin a cura di Rebecca De Fiore, su forward.recentiprogressi.it
In politica si dà molto valore alla vicinanza tra il candidato e il “proprio” elettorato, il “proprio” collegio: quanto conta questa prossimità?
Spesso i politici pensano che sia importante essere vicini all’elettorato per acquisirne il consenso. In realtà il politico, poiché deve rappresentare l’interesse del Paese, deve conoscere ciò che al Paese interessa. Per questo deve mettersi in una posizione di reale ascolto dei bisogni delle persone. Da un politico ci si aspetta anche la capacità di fare sintesi, di raccogliere ciò che è emerso dall’ascolto e di concorrere quindi a determinare scelte di interesse generale. Sicuramente, però, la posizione di ascolto è poco praticata, salvo quando volta a far affiorare sentimenti di rabbia funzionali ad alimentare il malcontento rispetto alla maggioranza di turno. Bisogna, invece, pensare a una politica più vicina alle persone perché capace di ascoltare, di immedesimarsi nei loro problemi e di affrontarli, senza finalità strumentali al mero consenso. Personalmente, ho avuto l’opportunità di fare una grande esperienza di ascolto in Sardegna, in occasione della partecipazione alla Giunta Soru. Ricordo ancora con emozione quelle lunghe e intense giornate di visite nei territori, da cui ho tratto molto più di quanto ho dato. Un ascolto che le comunità avevano riconosciuto come franco e concreto, e che ancora oggi molti ricordano. A me era servito per comprendere la situazione del sistema sanitario, il punto di vista dei professionisti e quello dei cittadini, insomma quello che c’era e quello che mancava.
Allo stesso tempo, però, si ritiene che una certa distanza possa almeno in certa misura proteggere, per esempio dalla tentazione di comportamenti illeciti. Qual è il giusto equilibrio?
Quello che conta è il sistema di valori cui una persona si ispira, che non dovremmo mai sacrificare. Vicinanza e integrità non sono a mio avviso in contrapposizione. La vicinanza alle condizioni delle persone – di quelle che ci vivono vicino o che incontriamo per motivi professionali – è sempre importante. Poi bisogna saper riconoscere il momento in cui possono sorgere conflitti di interesse o addirittura condizionamenti reali. Dobbiamo recuperare i fondamenti etici del comportamento di ogni persona, soprattutto quando svolge un ruolo istituzionale, principi contenuti nei codici deontologici di ogni professione e che andrebbero sempre praticati e non solo enunciati. Non si dovrebbe mai rinunciare alla prossimità e all’ascolto, né si dovrebbe perdere la propria indipendenza di giudizio.
Il ministro Speranza ha fatto della prossimità la parola chiave del prossimo servizio sanitario: quali contenuti possono riempirla di senso in direzione di un cambiamento?
Proviamo a riempire di senso la parola prossimità. Il primo concetto è vicinanza. Innanzitutto dal punto di vista fisico. Essere vicini alle persone, cittadini o operatori, è fondamentale per comprenderne i bisogni, le apprensioni e le difficoltà. Ciò vale sia per i singoli individui sia per le istituzioni. La lontananza dei vertici decisionali da chi deve mettere in pratica le decisioni e, soprattutto, da chi ne può beneficiare è deleteria per tutti. La tendenza del Servizio sanitario nazionale ad accorpare le aziende sanitarie e i dipartimenti aziendali, facendoli diventare sempre più grandi, ha allontanato i decisori dagli operatori della sanità e ancora di più dalle persone assistite. Come può, ad esempio, un dipartimento di salute mentale cui afferisce una popolazione di oltre un milione di abitanti conoscere in modo adeguato la realtà cui si rivolge, la specificità dei singoli territori, le complessità del lavoro nei diversi centri di salute mentale, le esigenze prevalenti nei differenti contesti socio-economici? Un’impresa ardua anche per il miglior dirigente, soprattutto in assenza di professionisti con specifici ruoli intermedi. L’unica soluzione è l’adozione di modelli teorici, spesso proposti a prescindere dalle situazioni concrete e dalle dinamiche locali. E così la popolazione percepisce una lontananza delle istituzioni e si sente spesso abbandonata, mentre i professionisti avvertono un distacco da chi prende le decisioni su aspetti che conoscono troppo vagamente e si sentono demotivati. La vicinanza va intesa non solo in senso fisico ma anche emozionale: le persone deve poter percepire l’attenzione delle istituzioni. La sensibilità nei confronti dei timori e delle sofferenze dei cittadini, e delle comunità di cui fanno parte, di fronte a problemi che riguardano la salute è fondamentale per rafforzare la fiducia verso la medicina, la sanità pubblica e le istituzioni, oltre che per garantire percorsi assistenziali efficaci.
Il secondo concetto che vorrei associare alla parola prossimità è ascolto. Ascoltare significa accettare e riconoscere l’altro come persona, persona con dignità e diritti. Il servizio sanitario deve dimostrarsi in grado di ascoltare i cittadini e gli operatori, di comprendere le loro esigenze, di affrontare i problemi dopo un confronto costruttivo: l’ascolto genera fiducia, alimenta relazioni positive, produce partecipazione. Ascoltare non vuol dire ovviamente accogliere acriticamente ogni segnalazione, ma avere elementi per decidere in modo informato avendo ponderati i pro e i contro.
Il terzo concetto associato alla parola prossimità è comunità. Le comunità sono oggi spesso lontane le une dalle altre, organizzate in modo formale/burocratico, con regole di funzionamento che guardano solo al proprio interno, dove i riferimenti valoriali sono sfuocati, gli operatori sono demotivati e la fiducia dei cittadini è indebolita. E così si diffonde l’idea che siano i cittadini ad aver bisogno delle istituzioni e non invece che siano le istituzioni ad essere “al servizio” dei cittadini e delle comunità. Al contempo c’è una crescente richiesta di istituzioni più prossime ai bisogni delle comunità, c’è una domanda di salute che va oltre la sanità e coinvolge altri settori di intervento, in una logica di comunità che chiama in causa tutti noi e ci chiede di ricomporre i diversi frammenti che possono contribuire al benessere delle persone. La prossimità evoca la necessità di pensare, vivere, agire in gruppo, all’interno delle comunità, rafforzando sentimenti di reciprocità e di solidarietà spesso trascurati per inseguire l’efficienza, il risparmio, la managerialità.
In questo approfondimento di Forward abbiamo provato a riflettere su un parallelismo tra la prossimità auspicata dal ministro e quella sollecitata da Papa Francesco. Quali provvedimenti politici potrebbero dare concretezza all’attenzione verso gli “ultimi” al centro del pensiero di Bergoglio?
In questo periodo, Papa Francesco è un punto di riferimento fondamentale per molti di noi. La sua denuncia della cultura dello scarto, distante dai fratelli scomodi, non può che costituire un forte impulso a un sistema sanitario di prossimità, concentrato in primo luogo sulle persone più svantaggiate. Si pensi al caso degli anziani. Nel tempo, abbiamo imparato ad accettare l’idea che un anziano, soprattutto quando non più autosufficiente, possa essere separato dalla famiglia, allontanato dalla comunità di appartenenza, sistemato in strutture residenziali dove perde legami, identità e possibilità di autodeterminazione. Eppure ci sono esperienze importanti, ancorché di nicchia, di percorsi di cambiamento in grado di evitare l’isolamento degli anziani e garantire loro vicinanza, dignità e diritti. Una grande opportunità è costituita oggi dal Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (PNRR), con una dotazione di risorse del tutto straordinaria che potrebbe essere destinata a ridurre le disuguaglianze. Ma in assenza di un rinnovamento culturale, rischiamo di uscire dal PNRR con più disuguaglianze di prima. Perché i territori più maturi, dal punto di vista tecnico e politico, sapranno cogliere l’opportunità offerta dai finanziamenti europei, mentre i territori meno attrezzati saranno più lenti, soggetti alle forze di pressione e meno efficaci. Per questo è necessario un forte impegno della società civile, oltre che delle istituzioni deputate, per un attento monitoraggio dell’attuazione dei programmi e per un sostegno a favore delle realtà più deboli. Come ha affermato Papa Francesco, peggio di questa pandemia, c’è solo il rischio di sprecarla.