Il Servizio sanitario nazionale è arrivato impreparato allo scontro con il COVID-19. Certo, i campanelli di allarme sono stati molteplici, ma tutti sistematicamente ignorati. La Sanità Pubblica ha infatti subito un lento e continuo indebolimento. La Sanità Pubblica è reduce da anni di de-finanziamento, tagli dei posti letto, riduzioni del personale, impoverimento della medicina territoriale e della prevenzione. Nonostante ciò, è stata in grado di far fronte alla situazione di emergenza grazie alla professionalità e alla dedizione dei suoi operatori.
Non basta il forte sentimento di gratitudine verso tutti gli operatori, che pure è doveroso: è necessario rafforzare la Sanità Pubblica.
Ma lo scontro con la pandemia sembra non averci insegnato nulla. Passata la fase di crisi acuta la tendenza si è invertita, e la Sanità Pubblica, che si era rivelata così cruciale nella gestione dell’emergenza, non è più al centro delle priorità del Paese, fatto salva la campagna di vaccinazione.
Gli operatori – il “capitale umano” – sono l’elemento fondamentale per la qualità e la capacità di risposta del Servizio sanitario nazionale. Eppure, il grande attivismo per garantire l’accesso ai finanziamenti europei sembra essere rivolto ai soggetti privati piuttosto che al SSN.
In questi anni si è assistito a una riduzione notevole del personale del SSN e al trasferimento di molteplici attività al privato. Tale tendenza si era parzialmente invertita durante l’emergenza Covid, ma in modo marginale e temporaneo; i tagli dell’ultimo decennio non sono stati recuperati e le assunzioni sono state spesso effettuate con contratti temporanei .
Per risolvere questo problema, è necessario intervenire su più fronti:
Durante la pandemia, gran parte dei servizi sono stati ridotti o addirittura sospesi, con ricadute negative sulla salute delle persone. La riduzione delle attività in quasi tutti i settori e il timore delle persone nel frequentare le strutture sanitarie hanno indubbiamente contribuito a un incremento della mortalità generale, oltre che a quella attribuibile al Covid.
La normale ripresa delle attività sembra essere ancora lontana. I pazienti si stanno abituando ad evitare le strutture pubbliche (perlopiù ancora in fase di riorganizzazione), ricorrendo al privato. Il rischio è che i fondi stanziati per smaltire le liste di attesa vengano di conseguenza indirizzati interamente al settore privato, indebolendo ulteriormente l’offerta pubblica e aumentando il potere di mercato di molti soggetti privati.
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Nel marzo 2021, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha avanzato una pericolosa raccomandazione che assimila gli ospedali e le Aziende USL alle imprese. La proposta di riforma rivolta al Presidente del Consiglio dei Ministri sollecitava una maggiore integrazione di pubblico e privato, oltre che l’eliminazione del vincolo della verifica del fabbisogno regionale di servizi sanitari.
Questa indicazione, tuttavia, presenta numerose problematiche:
Il modello di sistema sanitario lombardo aveva cancellato la rete dei servizi territoriali pubblici e instaurato una concorrenza tra settore pubblico e privato (fortemente sbilanciata a favore del secondo). L’evidente fallimentarietà di tale modello nella lotta al Covid avrebbe dovuto quindi suggerire la necessità di correzioni sostanziali.
Il PNRR (il programma di investimenti per accedere alle risorse europee del Next Generation EU) destina un finanziamento di 4 miliardi al meccanismo di autorizzazione e accreditamento degli erogatori privati e pubblici di servizi di assistenza domiciliare. Questo strumento potrebbe risultare estremamente utile, ma solo a patto che venga inserito in una cornice pubblica che si faccia carico dei bisogni degli assistiti all’interno di una filiera di servizi sanitari e sociali. Questo stesso strumento, se inserito in una cornice privata, non potrebbe che trasformare una buona idea in una pessima realizzazione; riprodurrebbe inevitabilmente la frammentaria, fallimentare, e inaccettabile situazione lombarda, basata sulla presenza di una molteplicità di agenzie private in competizione fra loro nell’erogazione di prestazioni domiciliari ai pazienti.
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Gli operatori – il “capitale umano” – sono l’elemento fondamentale per la qualità e la capacità di risposta del Servizio sanitario nazionale. Eppure, il grande attivismo per garantire l’accesso ai finanziamenti europei sembra essere rivolto ai soggetti privati piuttosto che al SSN.
In questi anni si è assistito a una riduzione notevole del personale del SSN e al trasferimento di molteplici attività al privato. Tale tendenza si era parzialmente invertita durante l’emergenza Covid, ma in modo marginale e temporaneo; i tagli dell’ultimo decennio non sono stati recuperati e le assunzioni sono state spesso effettuate con contratti temporanei .
Per risolvere questo problema, è necessario intervenire su più fronti:
Durante la pandemia, gran parte dei servizi sono stati ridotti o addirittura sospesi, con ricadute negative sulla salute delle persone. La riduzione delle attività in quasi tutti i settori e il timore delle persone nel frequentare le strutture sanitarie hanno indubbiamente contribuito a un incremento della mortalità generale, oltre che a quella attribuibile al Covid.
La normale ripresa delle attività sembra essere ancora lontana. I pazienti si stanno abituando ad evitare le strutture pubbliche (perlopiù ancora in fase di riorganizzazione), ricorrendo al privato. Il rischio è che i fondi stanziati per smaltire le liste di attesa vengano di conseguenza indirizzati interamente al settore privato, indebolendo ulteriormente l’offerta pubblica e aumentando il potere di mercato di molti soggetti privati.
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Nel marzo 2021, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha avanzato una pericolosa raccomandazione che assimila gli ospedali e le Aziende USL alle imprese. La proposta di riforma rivolta al Presidente del Consiglio dei Ministri sollecitava una maggiore integrazione di pubblico e privato, oltre che l’eliminazione del vincolo della verifica del fabbisogno regionale di servizi sanitari.
Questa indicazione, tuttavia, presenta numerose problematiche:
Il modello di sistema sanitario lombardo aveva cancellato la rete dei servizi territoriali pubblici e instaurato una concorrenza tra settore pubblico e privato (fortemente sbilanciata a favore del secondo). L’evidente fallimentarietà di tale modello nella lotta al Covid avrebbe dovuto quindi suggerire la necessità di correzioni sostanziali.
Il PNRR (il programma di investimenti per accedere alle risorse europee del Next Generation EU) destina un finanziamento di 4 miliardi al meccanismo di autorizzazione e accreditamento degli erogatori privati e pubblici di servizi di assistenza domiciliare. Questo strumento potrebbe risultare estremamente utile, ma solo a patto che venga inserito in una cornice pubblica che si faccia carico dei bisogni degli assistiti all’interno di una filiera di servizi sanitari e sociali. Questo stesso strumento, se inserito in una cornice privata, non potrebbe che trasformare una buona idea in una pessima realizzazione; riprodurrebbe inevitabilmente la frammentaria, fallimentare, e inaccettabile situazione lombarda, basata sulla presenza di una molteplicità di agenzie private in competizione fra loro nell’erogazione di prestazioni domiciliari ai pazienti.
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Nei prossimi mesi ci sono scadenze importanti (il decreto ministeriale per l’identificazione del modello organizzativo della rete territoriale; la legge di bilancio 2022; la legge sulla concorrenza): la tendenza alla privatizzazione deve essere invertita al più presto.
La nostra Associazione intende contribuire a delineare e intraprendere la giusta strada verso il rafforzamento della Sanità Pubblica
«…la pandemia ha rivelato che investimenti sanitari inadeguati, soprattutto nei sistemi sanitari pubblici, possono costituire di per sé una fonte di rischio macro-critico, non solo per il Paese in questione, ma per il mondo».
Pan-European Commission on Health and Sustainable Development
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