Audizione X Commissione permanente Senato

Nerina Dirindin – Presidente Associazione Salute Diritto Fondamentale

2 luglio 2024

Ringrazio la decima Commissione permanente “Affari Sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale” per aver invitato l’Associazione Salute Diritto Fondamentale a prendere parte a questo ciclo di audizioni sul disegno di legge AS1161 “Conversione in legge del decreto legge 7 giugno 2024, n. 73 recante misure urgenti per la riduzione dei tempi dele liste di attesa delle prestazioni sanitarie”.

L’Associazione, che ho l’onore di presiedere, ha fra i propri scopi la diffusione della cultura della salute come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività nonché l’attuazione dei principi istitutivi e degli obiettivi fondamentali del Ssn, attraverso iniziative tese al suo rinnovamento.

Le considerazioni qui espresse si soffermano sulle scelte di politica sanitaria che il decreto propone e su alcuni specifici aspetti meritevoli di approfondimento.

Il decreto sembra essere ispirato da obiettivi che non possiamo che condividere:

Tali obiettivi sono tuttavia affrontati con misure che sono in gran parte discutibili e/o poco efficaci.

In primo luogo, il provvedimento si concentra sui sintomi e non sulle cause delle liste di attesa, individuando terapie che nella migliore delle ipotesi possono attenuare (nel medio periodo) i sintomi della malattia (la durata dell’attesa) ma non sono certo in grado di aggredirne le cause. Le cause delle liste di attesa vanno infatti identificate nelle scelte che nel corso degli anni hanno gravemente indebolito il Servizio sanitario nazionale, sulle quali il decreto non interviene: contenimento della spesa rispetto al Pil (passata dal 7% del Pil nel 2009, al 6,4% nel 2019 e al 6,2% previsto nel 2027 – DEF 2024) e riduzione del personale (i tetti di spesa istituiti con la legge 266/2005 sono rimasti immutati fino al 2019, quando sono stati solo parzialmente rivisti; la spesa per i redditi da lavoro dipendente era il 33% della spesa sanitaria corrente CE nel 2004 e diventa 29,9% nel 2022 – Dati MEF). Occuparsi solo dei tempi di attesa (dei sintomi) e non anche delle cause è una scelta che rivela il tipo di sanità che si vuole realizzare, un sistema cioè che si consegna al mercato privato e non punta a rafforzare strutturalmente il Ssn. Fra l’altro, le liste di attesa non sono che una parte delle difficoltà che incontrano le persone: le vere e proprie rinunce ad accedere alla sanità pubblica (anche nella piccola chirurgia) o le centinaia di persone in barella nel pronto soccorso degli ospedali sembrano sfuggire al dibattito come agli estensori del decreto. 

Lo stato attuale della sanità pubblica richiederebbe invece scelte di politica sanitaria in grado di avviare con determinazione il superamento, pur graduale, degli ostacoli che rendono difficile in molte realtà rispondere in maniera adeguata ai bisogni delle persone e ricostituire la fiducia dei cittadini. 

L’obiettivo non è infatti solo superare le liste di attesa, ma (iniziare a) ripristinare quelle condizioni (nella dotazione di risorse finanziarie, di personale e nell’organizzazione dei servizi) in grado di evitare che si riformino. L’idea che si possa risolvere il problema con interventi tampone (più prestazioni aggiuntive, più lavoro al sabato e alla domenica) anziché con interventi strutturali, riduce il problema a un fatto del tutto contingente mentre le debolezze della sanità pubblica non sono per nulla transitorie e richiedono interventi di sistema. 

L’unico intervento strutturale contenuto nel decreto riguarda l’istituzione di una piattaforma nazionale volta a superare gli attuali limiti del sistema di monitoraggio, strumento assolutamente condivisibile la cui realizzazione richiede tuttavia tempi lunghi e notevoli capacità di dialogo con le Regioni. La piattaforma potrà essere estremamente utile per osservare il fenomeno, comprenderne (forse) le cause e delineare gli interventi. Ma le dimensioni del problema sono sotto gli occhi di tutti, come sono noti gli effetti negativi a danno soprattutto dei più vulnerabili, con conseguente aumento delle disuguaglianze: la situazione richiede quindi interventi immediati sulle dimensioni dell’offerta, senza dedicare anni a osservare le difficoltà che sperimentano le persone.

In ogni caso l’approccio vessatorio, ispettivo e sanzionatorio nei confronti delle regioni, delle aziende sanitarie e dei loro dirigenti non è assolutamente utile per creare un clima collaborativo e di motivazione del personale, di cui al contrario c’è tanto bisogno. La costituzione di un organismo di verifica e controllo presso il Ministero della salute, “con funzioni di polizia amministrativa e giudiziaria”, conferma lo spirito di addebito esclusivo ai livelli sub nazionali e al personale delle liste di attesa, assolvendo in via assoluta il livello centrale che nel tempo ha svolto invece poco efficacemente le proprie funzioni. Si condivide la necessità di un operato del livello centrale più puntuale ed efficace, soprattutto nel sostenere l’attuazione dei tanti provvedimenti ancora rimasti sulla carta, ma lo spirito deve essere quello di ricreare autorevolezza, ricostruire competenze, rafforzare il dialogo con le regioni, non quello di porsi in posizione di controllo ispettivo. 

Certo non contribuisce in tal senso un decreto che sembra non conoscere neppure le numerose norme già esistenti sulle liste di attesa e si limita a riprenderne i contenuti come se si trattasse di disposizioni innovative. In tal senso pare necessario che siano richiamate formalmente tutte le norme che si ripetono, pur sapendo che in qualche caso sarebbe stato utile una preliminare analisi della loro inefficacia. 

Quanto ai rapporti fra livello centrale e regionale non si può non osservare che il decreto interviene su materie di competenza delle regioni senza prevedere un accordo in Conferenza Stato-Regioni. Una scelta che appare semplicistica, che cozza con l’enfasi dell’attuale governo sull’autonomia differenziata (di cui non siamo certo sostenitori) volta unicamente a scaricare la responsabilità sul livello regionale negando quelle del livello centrale, non solo dell’attuale governo ma anche dei governi precedenti, come spesso abbiamo sottolineato.

Il capolavoro si riscontra nell’articolo 7 che prevede la defiscalizzazione dei compensi per le prestazioni aggiuntive, misura finanziata interamente con fondi destinati al Ssn.

Sia chiaro, riconoscere il valore del lavoro svolto dal personale del Ssn e iniziare ad aumentarne la remunerazione (di gran lunga inferiore a quella di altri paesi europei, tanto è vero che assistiamo a una crescente fuga di professionisti) è un obiettivo assolutamente condiviso e potrebbe costituire un elemento strutturale per rafforzare il Ssn, ma dal provvedimento non traspaiono tali obiettivi: la scelta è semplicemente quella di dare un segnale ai professionisti (non dimentichiamo che il decreto è pre-elettorale) estendendo anche a loro l’abbattimento del prelievo fiscale già delineato dal Governo in altri ambiti. L’incentivo è stato accolto positivamente dai rappresentanti dei lavoratori, stremati dalle difficoltà in cui versano, ma presenta numerose criticità:

Quanto agli interventi sul Programma equità (art. 6), sui quali non è prevista alcuna rinegoziazione con l’Europa, ci si domanda quanto l’articolo intervenga nel merito del Programma (perché le attività sono in ritardo, ma allora sarebbe necessario un nuovo dialogo con la UE) e quanto invece sia una mera riscrittura di obiettivi già definiti. In ogni caso l’articolo non ha alcuna portata innovativa. 

In conclusione, le liste di attesa – un fenomeno intrinseco al servizio pubblico e di fatto funzionale allo sviluppo della sanità privata – dovrebbero essere affrontate con un complesso di interventi sul personale (le retribuzioni, le condizioni lavorative, le mansioni da attribuire ai diversi professionisti – assai sotto livellate per infermieri e personale tecnico –  l’organizzazione delle attività, la formazione, le possibilità di carriera, ecc) e sulle risorse finanziarie in grado di permettere un funzionamento più snello del Ssn. 

Un decreto affrettato, pre-elettorale, vessatorio, insincero (assume di intervenire adottando misure già esistenti) è in gran parte inadeguato rispetto alla necessità di aggredire il problema sostenendo la capacità del Ssn di far rispettare i diritti dei cittadini. 

Quanto infine al problema della diffusa inappropriatezza del ricorso alle prestazioni (peraltro prescritte da un medico) si osserva che il problema andrebbe affrontato con l’obiettivo non tanto di ridurre la spesa del Ssn, ma piuttosto di tutelare le persone dal rischio di essere sottoposte a trattamenti inutili (e talvolta dannosi) sia nel Ssn sia nel mercato privato delle prestazioni.